Il primo sorso di freddo

Lago e Rifugio Erdemolo Sasso Rotto

Il tracciato, presentato dal “Geometra” Bulgarelli dietro suggerimento dell’Ingegner Bulgarelli, è di tutto rispetto. Partenza da Frotten nella valle dei Mocheni, ai piedi del Lagorai, salita al Rifugio Sette selle, fin su per le creste seguendo il sentiero 343 per il versante ovest di Cima Sette Selle e Sasso Rotto, Passo delle Sette Selle m. 2198, Cima Sopra Conella m. 2308, Cima Terra Bianca m. 2296, Forcella di Cavé m. 2184, Cima delle Lepri m. 2292, Cima di Cavé m. 2296, Monte del Lago m. 2327, Forcella del Lago m. 2213, discesa sul segnavia 325 fino al Lago Erdemolo col suo omonimo Rifugio e ritorno alle auto. Circuito aspro e forte in ambiente solitario ed austero.Il tempo piovoso su Carpi fa subito selezione; il giro riscuote soltanto dodici adesioni reali invece delle ventisette opinate il venerdì sera. Tanto però è l’entusiasmo e l’ansia di partire per quelle ventiquattro zampette, che non si registrano particolari ritardi al parcheggio di Via Peruzzi, se non per i cinque minuti oramai accademici di Daniela, col rischio questa volta di essere abbandonata al destino di un’ingrata solitudine domenicale. Nell’attesa dell’imminente partenza, osservo il gruppo senza che nessuno se ne accorga, e mi soffermo divertito sui copricapo di ognuno. Scruto quello di Rita, un berretto dei Carabinieri che usa come portafortuna e non se ne separa mai, mentre è una delle poche volte che vedo Olivo in action con la chioma nuda. Ivano B. calza un cappellino molto profondo che pare inamovibile. Ivano F. ha un berretto minimalista senza elementi aggiuntivi, Paolo lo rinforza con uno zucchetto dotato di paraorecchie tipico dei papi ritratti durante il Concilio di Trento. Marco uomo senza età ed insensibile al freddo, non veste di cappello, ma suscita comunque unanime ironia per via del corpo macilento rivestito da una sola camicia senza nessuno strato superiore. Anche Isa è con la testa scoperta. Berretto fuori ordinanza anche per un nuovo ragazzo con accento abruzzese. Faccio appena in tempo a vedere il buffo cappello peruviano di Daniela, che sono richiamato alla realtà. Ci siamo tutti! Possiamo partire! Durante il trasferimento, con occhio ancora assonnato tipico di chi non dorme sufficientemente, osservo dall’interno dell’auto il cielo domenicale e come avviene da ormai un po’ troppo tempo noto all’orizzonte una sfumatura grigioceleste che si confonde con le creste sfocate delle vette dolomitiche. Una fila di nembo-strati dal profilo frastagliato che pare una catena aggiuntiva di monti. L’aria indossa i tenui colori del freddo, ma uscendo all’aperto il vapore che viene fuori dai polmoni non acquista ancora quella biancastra e fugace condensazione che segnala l’arrivo dell’inverno vero e proprio. Sotto una pioggia leggera e insistente, le ventiquattro gambe del CAI di Carpi cercano di scaldarsi zampettando sul posto prima dell’attacco al sentiero che porta in alto. Il freddo punge, e partiamo con passo veloce scandito dai corsisti di escursionismo avanzato, che freschi di quanto appreso nelle uscite didattiche di qualche settimana prima, cercano di far vedere al resto della comitiva il loro valore, suscitando un po’ di rimostranze da chi è venuto per fare un tranquillo giro sui monti. Anche quando il gruppo arriva nei pressi del Rifugio Sette Selle e butta l’occhio sui dominanti clivi imbiancati di neve, qualcuno dentro e fuori di sé si chiede perché in questa parte dell’anno non siano bandite le gite in montagna. Non credo per incapacità atletica, perché tutti, allenati o sedentari, sani o malaticci salgono sulle cime con lo stesso ardore dei mesi caldi. Mi chiedo allora se la colpa non sia da cercare nel clima crudo che raffredda le ambizioni di altitudine e favorisce le consuetudini defaticanti o forse è per via di un istintivo desiderio represso di letargo invernale tipico della nostra specie. Salendo di quota avviene il primo contatto con la neve, sia con gli scarponi, sia con le teste imberrettate. Dal cielo scendono innocui batuffoli candidi che man mano si modificano in fiocchi veri e propri, ma salendo ancora e lasciando le creste ad ovest, un vento di grecale abbastanza forte e dispettoso li trasforma in chicchi di ghiaccio pungenti come spilli che colpiscono e sferzano le poche parti del corpo rimaste esposte. E’ qui che anche Marco cede al clima e si inchina alla giacca impermeabile. Isa e qualche altro membro del gruppo, hanno i guanti oramai zuppi ed il freddo inizia il lento e crudele processo di assideramento agli arti superiori, ma prontamente vedo i due Bulgarelli estrarre dal loro zaino magico un paio di muffole supplementari e farne dono a chi ne ha bisogno. Guadagnando ancora qualche metro di quota, anche il sentiero si fa più severo e richiede un passo più attento, laddove si alternano blocchi di pietra resi scivolosi dalla neve, con passaggi leggermente esposti sulla via delle creste. La falcata del gruppo inesorabilmente si accorcia ed il tempo di percorrenza aumenta. La visibilità scarsa sommata ai quindici centimetri di neve ormai stabile sul terreno, velano il sentiero e creano problemi d’orientamento. Ascolto e non replico alle lamentele di chi afferma di essersi perso o di aver smarrito la retta via, ma non riesco a stare zitto, quando sento in accento abruzzese dire: “Si potrebbe chiamare il Soccorso Alpino!”. Per fortuna Olivo al motto di memento audere semper; rassicura la folla sulla direzione e la invita a proseguire dietro di lui ancora per poche centinaia di metri fino all’ormai prossima Forcella del Lago dove il sentiero inizia ad allargarsi e a scendere verso il Rifugio Erdemolo. Come da profezia Oliviana, dopo qualche minuto siamo sulla forcella e scendendo di qualche metro riusciamo a scorgere il lago, sottovento e senza neve. In riva al lago scatta la sosta mangereccia e, visto il successo avuto da Olivo cerco di imitarlo intonando a gran voce un memento (g)audere semper mettendo a disposizione il mio immancabile tubetto di maionese per arricchire panini induriti e pagnottelle umidicce. Finito il pasto, il morale risale velocemente, e a me piace pensare che il merito sia dovuto anche un po’ alla maionese. Discesa di corsa per una comoda carrareccia che conduce al parcheggio, dove un merlo appollaiato su una staccionata osserva con occhi anneriti e sporgenti questi dodici corpi bagnati e infreddoliti, infilarsi velocemente nelle loro gabbie metalliche e sparire dietro una curva della strada che porta a valle. Nel paesino di Pergine, la comitiva chiede ospitalità presso un caldo bar/pizzeria e si abbuffa di ghiottonerie, forse cercando una giusta ricompensa per la giornata fredda e relativamente uggiosa, ma per me l’esser tornato a calpestare il manto nevoso, unito alla genuina amicizia in una domenica passata sui monti, da sole possono già bastare ad addolcire e buttar giù questo primo sorso di freddo.

Paolo Lottini